giovedì 29 ottobre 2009

DESERTO

Deserto 1
I brani evangelici dell’Avvento ci parlano spesso del deserto. Nella storia di Israele prima e del cristianesimo poi, il deserto ha un’importanza e una rilevanza notevole.
Uscito dall’Egitto il popolo ebraico, il Signore lo spinge nel deserto del Sinai, incontro a difficoltà di ogni genere per fare di questi il suo popolo. Da una parte c’è il disegno di Dio e dall’altra c’è la ribellione del popolo che rimpiange le comodità lasciate in Egitto, anche se queste erano amare e condite di ingiustizia. Rimpiangeva la carne e persino le cipolle d’Egitto, tale era la durezza della prova che stavano sperimentando. Stavano provando fame, sete, carestia, solitudine, pericoli di ogni genere, pericolo di serpenti, pericolo di popolazioni ostili che contendevano a costo della vita quel poco che il deserto poteva offrire, ma stavano provando anche l’amore di Dio, stavano provando la SHEKINA’, la costante presenza di Dio nella loro vita. L’uomo nel deserto, dove non cresce nulla, dove si possono trovare sterpi e rocce e sabbia, non può fare affidamento sulle sue forze, si rende conto di essere troppo debole ed inerme per affrontare quella solitudine senza confine, non gli resta che fidarsi e affidarsi a Dio. Per quarant'anni Israele visse in questa condizione, al cospetto costante di Dio, vivendo di quanto il Signore gli elargiva. Certo questo privilegio vissuto, non fu immediatamente percepito dal popolo, che anzi non fece che mormorare, ma lo capì in seguito, una volta al sicuro nella terra promessa. Lontano dal deserto Israele comprese la particolare esperienza e intuì, non lo comprese perché nessuno poteva comprenderlo fino in fondo, il progetto che Dio ha per l’uomo. Ancora oggi, sulla scia dei profeti di Israele, c’è chi rimpiange l’esperienza del deserto e, sospirando, auspica che ogni Israelita abbia ad avere un’esperienza simile. Non solo, ma oggi nello stato di Israele gli allievi ufficiali dell’esercito pronunciano il loro giuramento a Masada, nel deserto di Giuda.
Dopo cinquanta giorni dal passaggio del Mar Rosso il popolo ebraico ebbe in dono la Legge, i Comandamenti a suggello della nuova alleanza che il Signore concluse con tutto il popolo di Israele. Non era un’alleanza con un individuo singolo (Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe, ma con tutto un popolo che si impegnò, ai piedi del Sinai, dicendo: ”Faremo e ascolteremo”.Dissero “faremo” prima ancora di “ascolteremo” per indicare che nel “fare” avrebbero “ascoltato” e capito; cioè fatti e non parole.
E nella esperienza del popolo cristiano, che rilevanza ha il deserto? Innanzi tutto il deserto viene in evidenza con la predicazione del Precursore di Gesù, Giovanni, detto il Battista, come voce di colui che grida nel deserto “preparate le vie del Signore”. Nel deserto appunto, dove uno grida e le sue grida sono portate via dal vento; come avvenne per Giovanni che non fu ascoltato. Questo brano evangelico è un adattamento del brano di Isaia ( 40,3) che dice: ”Nel deserto preparate la via al Signore” in accordo con la concezione ebraica del deserto.
Dopo l’annuncio della venuta del Signore e ricevuto il battesimo nel Giordano per opera di Giovanni, Gesù viene dallo Spirito sospinto nel deserto dove stette quaranta giorni, digiunando e, sicuramente, pregando. Perché nel deserto? Perché nel deserto si incontra più facilmente Dio, in assenza di tutte quelle cose di cui sembra che l’uomo non possa fare a meno. Nel deserto tutto è ridotto all’essenziale, non c’è posto per il superfluo. E’ pur vero che nel deserto dimorano anche spiriti immondi, ed è per questo che gli ebrei spedivano nel deserto il capro espiatorio dopo averlo caricato dei peccati del popolo (Lev. 16,10). Ma l’uomo nel deserto, privo dei condizionamenti dei beni terreni, è in grado di scegliere, nella sua piena libertà, tra il bene ed il male, tra Dio e il maligno.
Questo ben compresero gli eremiti, di cui S. Antonio Abate che festeggiamo il 17 gennaio, è l’emblema. Cessate le persecuzioni, diventato il cristianesimo religione consentita, venuto meno il sangue dei martiri, i padri del deserto, con la loro rigorosissima vita ascetica e la rinuncia al mondo, si incaricarono, con il loro esempio, della evangelizzazione dei pagani. Intanto la parola italiana “eremita” viene dal greco “èremo” che significa deserto: quindi gli eremiti erano coloro che, abbandonate le comodità del mondo, vivevano nel deserto al cospetto di Dio pregandolo incessantemente. Questi uomini volontariamente si privavano, non solo dei piaceri del mondo, ma anche di quelle cose che, ai loro occhi, erano fonte di piacere se non proprio di tentazione peccaminosa come, per esempio, l’acqua. Essi stavano perciò lontani dall’acqua e isolati anche dagli altri uomini e soprattutto dalle donne ritenute, allora da un cristianesimo mal compreso, fonte ed occasione di pensieri peccaminosi, vivendo in grotte o anfratti naturali o rudimentali capanne, dedicavano la loro vita alla contemplazione, alla preghiera continua, allo studio delle Sacre Scritture, come S. Girolamo, che tradusse in latino i Vangeli, e tanti altri, e osservavano una rigorosissima vita ascetica. Il primo di questi, storicamente documentato, fu appunto S. Antonio, (morto intorno al 356), detto Abate, considerato il precursore del Monachesimo. Intorno a lui si riunirono altri eremiti che nel deserto egiziano facevano le loro esperienze ascetiche. Qui iniziò il movimento monastico che San Benedetto da Norcia portò avanti in Europa ritirandosi a Subiaco prima e successivamente a Monte Cassino, fondando monasteri e abbazie che si rivelarono, oltre che fonte di evangelizzazione, centri di cultura e di lavoro. Esistono ancora eremiti, continuamente riformati nelle loro regole per adattarle alle esigenze dei tempi, ma sempre col rigore della solitudine e della essenzialità della vita.
Cosa possono oggi dire al cristiano queste esperienze ascetiche del Cristianesimo dei primi tempi, e dell’esperienza nel deserto del popolo ebraico? Ci dicono che se non facciamo il deserto nel nostro cuore, spogliandolo di tutto, non possiamo far posto a Dio, non possiamo incontrarLo. Il cristiano deve vedere le cose terrene, anche gli affetti più cari, per non parlare delle cose materiali, con l’occhio esclusivo di Dio: “(Luca cap. 14)[26]«Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.”.