giovedì 8 luglio 2010

XV° DOMENICA T.O.

XV DOM. T. O.
11 – 07 – 10
(Luca cap. 10) [25]Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». [26]Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». [27]Costui rispose: « Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». [28]E Gesù: «Hai risposto bene; fà questo e vivrai». [29]Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». [30]Gesù riprese:
«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. [31]Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. [32]Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. [33]Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. [34]Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. [35]Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. [36]Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». [37]Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Và e anche tu fà lo stesso».

Il dottore della legge che interroga Gesù forse vuole solo mettere in difficoltà il Maestro o forse vuole veramente una spiegazione che vada oltre la Legge scritta di Mosè o forse ancora ( per giustificarsi) è uno di quelli che vuole sempre dire l’ultima parola, che non si arrende mai al suo interlocutore. Quello che è certo che Gesù ci darà forse la più famosa delle sue parabole. La più famosa, ma anche quella con più coinvolgenti risvolti per la nostra vita quotidiana. Infatti: «E chi è il mio prossimo?». E’ forse quello che mi sta a fianco? Quello che mi sta vicino? Per la legge mosaica più o meno era così. <[18]Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore.> Levitico cap. 19). Come si vede si hanno dei doveri precisi nei riguardi delle persone dello stesso popolo. Ma Gesù ci dice che dobbiamo andare oltre e paradigma questo prossimo con un samaritano, un esponente cioè di un popolo in continuo stato di inimicizia coi figli di Israele.
Era un’antica e mai sopita ostilità datata dal tempo della distruzione del regno del nord (il regno di Israele) intorno al 725 a.C. Distruggendo il regno e deportando la popolazione, Sargon II vi deportò popolazioni della Media e persiane, che non essendo popoli semitici niente avevano a che spartire coi discendenti di Abramo. Per l’antica credenza che un popolo doveva prestare culto al Dio di quel territorio questi nuovi abitanti di Samaria cercavano di uniformarsi al culto mosaico. Ma quando circa cinquanta anni dopo cadde anche il regno del sud e Gerusalemme fu distrutta da Nabucodònosor i nuovi samaritani cercarono di dissociarsi dai giudei cercando e vantando parentele con i nuovi dominatori. In effetti, anche i nuovi dominatori provenivano più o meno dalle stesse zone ed erano di stirpe indoeuropea. Quando poi per l’editto di Ciro, persiano, fu concesso ai primi ebrei di ritornare in Giudea e ricostruire Gerusalemme ed il Tempio, i Samaritani si offrirono di aiutarli nella ricostruzione, chiedendo quindi di integrarsi nella popolazione ebraica anche nel culto, ma furono sdegnosamente e decisamente respinti e i samaritani si costruirono un tempio sul monte Garizim tutto per loro.
Il malanimo quindi era di antica e consolidata data. Il giudeo ( delle antiche dodici tribù dieci erano irrimediabilmente disperse; rimaneva solo la tribù di Giuda con quella di Beniamino) tollerava l’idumeo, discendente da Esaù, fratello di Gacobbe e suo avversario, ma non il samaritano. La scelta di un protagonista positivo, quale il samaritano della parabola, poteva sembrare alle orecchie dei giudei come una provocazione.
Sta di fatto che solo il samaritano si fermò a dare soccorso al malcapitato, approssimandosi a lui, facendosi suo prossimo, facendosi carico della sua disgrazia, pulendo le sue ferite versandovi vino e olio e poi caricandolo sulla sua cavalcatura per portarlo alla locanda. Cioè condivise la sua passione, la sua sofferenza fino al punto di farla sua.
Prima del samaritano è passato un giudeo della classe sacerdotale, il quale, appena lo vide, si affrettò a spostarsi sull’altro lato della strada pensando: “Non vorrei che questo sia morto e che contamini la mia purezza rituale impedendomi così di rendere culto al mio Dio, Signore degli eserciti”; ma è più importante officiare un rito o prestare soccorso ad un uomo fatto ad immagine e somiglianza di Dio? Il sacrificio eucaristico, la messa, è la preghiera massima dei cristiani, ma la si può anteporre, per esempio, ad una richiesta di confessione di un malato che non può andare in chiesa da tempo e che quindi da tempo non si confessa?
Questo figlio di Levi non era evidentemente della classe sacerdotale, ma era comunque della tribù di Levi che (Deut.10) Erano i leviti che cantavano col salmo:
[5]Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
[6]Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi,
E’ magnifica la mia eredità (Slm.16)
Anche costui pensa prima alla sua purità rituale, al privilegio accordato dal Signore alla sua tribù, quello, cioè, di essere stati scelti dal Signore per essere i primogeniti fra le tribù. Non può sporcarsi le mani con un ferito o, peggio, con un morto, lui. Per la concezione ebraica di allora un malato era più vicino allo stato di morte a seconda della gravità della sua malattia. Non era in stato di purezza e poteva contaminare la purezza di un altro.
La domanda è sempre quella: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». Ed è preminente, pressante ed attuale. E’ la domanda del dottore della legge che suscita la risposta/domanda di Gesù: "Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?". Certamente con il dottore della legge tutti rispondiamo che è il terzo, il samaritano. E Gesù che risponde non solo al dottore della legge ma anche a noi: «Và e anche tu fà lo stesso» . Gesù non gli ha detto: "Và e impara" ma "Fai allo stesso modo". Quanti si stanno battendo il petto con me incapaci di scelte radicali, come me? Per quanto ci commoviamo all’ascolto di questa parabola e proviamo dispiacere e ribrezzo nei confronti dei due giudei senza cuore, non possiamo nasconderci di essere anche noi affetti da perbenismo, di essere duri di cuore. Se identifichiamo il malcapitato con l’Israele bisognoso di soccorso prima della venuta di Cristo, come vogliono certi esegeti, non possiamo dimenticare l’antisemitismo ancora strisciante in seno alla cristianità e di cui anche noi, coscientemente o inconsciamente, siamo pervasi. Se invece optiamo, come vogliono altri esegeti, per il malcapitato immagine della Chiesa nel mondo continuamente assalita da briganti e malfattori, non possiamo nasconderci di esserci unisti a questi nell’assalire la Chiesa. Se poi crediamo, come altri esegeti ancora, il malcapitato personificazione del Cristo sofferente e sempre crocifisso, non possiamo che batterci il petto e chiedere “pietà” perché siamo noi oggi a metterti sulla Croce, mio Signore, al posto dei romani, di Pilato, del Sinedrio.