lunedì 18 gennaio 2010

ALBERO

Albero
Cosa c’entra l’albero con le parole della Bibbia? Sembrano due concetti tanto lontani, eppure cominciò proprio con un albero. Un albero singolo piantato in mezzo ad un giardino. “(Genesi cap. 2) [9]Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male.”
Il Signore dalla polvere della terra creò l’uomo e soffiandogli nelle narici il suo Spirito lo rese simile a Lui. Proprio per l’uomo creò un giardino in oriente e ve lo pose perché lo coltivasse e lo custodisse. Ogni albero, ogni erba il Signore l’ aveva messa al servizio dell’uomo per averne cibo, utensili, luce, calore. C’era di che contentarsi; all’uomo non mancava nulla: C’era una unica limitazione: (Genesi cap. 2)16]Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: “”Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, [17]ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti””.
Proprio questa limitazione spinse l’uomo a disobbedire al comando di Dio in questo aiutato dal tentatore antico, dal serpente: “(Genesi cap. 3) 5]Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male”.
Diventare come Dio, poter fare a meno di Dio era un sogno troppo bello perché l’uomo vi rinunciasse. Sì, è vero il Signore l’aveva fornito di tutto, aveva avuto il dominio di tutto il creato ma dipendeva sempre da Dio. Ora c’era la possibilità di avere di più, di essere veramente autonomo, di potersi sostituire a Dio, di essere Dio. Poteva lasciarsi scappare una occasione simile? E, ubbidendo al serpente, mangiò dell’albero proibito, il frutto di quell’unico albero in mezzo al giardino del quale il Signore gli aveva proibito di mangiare. E subito gli si aprirono gli occhi: si accorse di essere nudo, mentre prima, pur essendo nudo, non se ne accorgeva. Di colpo l’uomo si accorge di aver perso tutto, di non avere più nulla su cui contare. Prima c’era l’amore di Dio che lo proteggeva, che lo avvolgeva tutto dando una direzione alla sua vita, liberandolo da ogni preoccupazione e ora, d’improvviso, si accorge di non poter contare che su se stesso: ha fatto la sua scelta. Non che l’amore di Dio sia venuto meno, che abbia volutamente abbandonato la sua creatura. No questo, no: Dio non cessa di amare l’uomo. Ritorna alla mente la parabola che Gesù racconta nel vangelo di Luca (15,11-32), la parabola così detta di “Figliuol prodigo” ma che sarebbe più appropriato chiamare del “Padre misericordioso”. Il figlio decide di allontanarsi dal padre perché non si sente libero, l’amore di cui il padre lo circonda gli sembra che lo stia soffocando, che non riesca a realizzarsi e chiede che gli venga dato quanto gli spetta della sua eredità. Il padre, pur grandemente addolorato, proprio per il grande amore che porta al figlio, gli dà quanto gli spetta; e quello se ne va’. Il padre si strugge d’amore per questo figlio e, dall’alto della torre della sua casa, scruta la strada in attesa di vedere il figlio ritornare.
Così è il comportamento di Dio nei confronti di Adamo ed Eva che fanno liberamente la loro scelta. Hanno scelto per loro, e conseguentemente per noi, di vivere lontano da Dio, di uscire dalla tutela mangiando il frutto dell’albero della “conoscenza del bene e del male”. Da allora Dio-Padre sta sempre alla finestra scrutando l’orizzonte per vedere immediatamente il ritorno dei suoi figli. Egli non ha cessato di amare, anzi si va struggendo d’amore.
Nel Cantico dei Cantici questo amore viene allegoricamente cantato come un innamorato ed una innamorata che vanno alla ricerca dell’oggetto del loro amore, scambiandosi continuamente i ruoli: talvolta e lui che va alla ricerca dell’innamorata, talaltra è lei. Sono poesie d’amore raccolte senza un filo logico, senza una trama ma in ognuna traspare questo amore struggente. Questi testi possono lasciarci sconcertati per il loro realismo e la voluta passionalità, ma essi non hanno segreti per i mistici che ben li comprendevano e leggevano trovando in essi un dolcissimo colloquio con il Signore. Allegoricamente il Cantico è l’unione costantemente cercata da Dio con l’anima della sua creatura. Questa ricongiungimento è stato reso sempre difficoltoso a causa dei tradimenti dell’uomo che con i suoi continui adulteri provocava all’ira il Signore Iddio. Ma Dio, innamorato della sua creatura, mai ha cessato di amarla e di cercarla aspettandone accoratamente il ritorno. A questo figlio lontano il Signore invia continuamente messaggeri (i profeti) e scrive appassionate lettere d’amore. (Certi esegeti infatti vedono nella Scrittura, tutta la Scrittura, una lettera d’amore appassionata che il Creatore, l’amante, manda alla sua creatura amata, all’uomo.)
Le porte del giardino di Eden si sono chiuse e l’uomo ne è stato scacciato, l’albero della vita non si vede più nel buio, nelle tenebre di cui ora è avvolto l’uomo. L’uomo in questo buio atroce, in questa libertà che ha volutamente scelto, arranca sempre più disperato, sempre più disorientato, sempre più avviluppato in se stesso, sempre più privo di quella libertà che andava cercando. Ma non è abbandonato; il Signore, anche se lontano, continua a vegliare su di lui. Lo libera dalla schiavitù d’Egitto, gli dà una Legge, i Comandamenti, che gli serva da guida per ritrovare la strada di casa e decide di piantare un altro albero. L’albero della Vita piantato in Eden si è inaridito, ne occorre un altro che porti frutto.
Il nuovo albero che il Signore pianta è l’albero della Croce cui appendere il suo Figlio diletto. Il Signore, il Padre Misericordioso sempre in attesa del figlio perduto, ha voluto piantare questo nuovo albero che faccia da faro con la sua luce spendente, Luce divina, all’uomo perso nel buio della notte. Non è più albero di “conoscenza del bene e del male” ma albero di redenzione, albero del riscatto dell’umanità. Di tutta l’umanità, perché quel frutto, quel Figlio è stato appeso all’albero per la redenzione di tutta l’umanità. Pertanto anche se questi figli sperdutisi avranno da fare un cammino di fede diverso dal cammino del cristiano per la loro redenzione avranno comunque a che fare con questo legno. Non ne avranno spesso né conoscenza né consapevolezza ma è solo quell’albero che redime, la chiave di apertura delle porte dell’Eden chiuse un tempo.
Il frutto di questo albero non è vietato all’uomo, anzi è invitato a cibarsene:” Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi”. Come l’albero piantato in Eden, l’albero della conoscenza del bene e del male, dava povertà e morte questo dà libertà e vita; quello impoveriva questo arricchisce, quello oscurava la conoscenza questo apre alla Verità, quello ci ha resi nudi questo ci ha rivestiti di Spirito Santo.
Si avvicina il tempo di Quaresima in cui il tema, il tema della Croce, mi pare quanto mai appropriato. Possa questo legno, sui cui rami il nostro Signore ha steso le braccia come un invito ad un abbraccio rivolto al mondo intero, possa essere segno di pace e non di violenza, segno di riscatto e non di oppressione, segno di luce dopo tanta tenebra.

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